Falconara Marittima
Il territorio di Falconara Marittima fu abitato sin dalla preistoria; armi e utensili del Neolitico sono stati infatti trovati a Barcaglione, mentre altre testimonianze fittili, punte di lance, asce in pietra, oggetti lavorati di osso sono stati frequentemente ritrovati nei terreni di Falconara Alta e Castelferretti. Di un abitato piceno è stata ritrovata traccia negli anni Settanta a Falconara Alta. In località Tesoro resta una cisterna di epoca romana, forse parte di un acquedotto che serviva una vicina villa del I sec. d. C. A duecento metri dalla costa, di fronte a Palombina Vecchia, fu ritrovato nel 1970 un relitto di nave romana, parte del quale è oggi conservata al Museo Nazionale Archeologico di Ancona. L’origine di Falconara è tuttavia legata in età medievale alla costruzione di alcuni castelli, cioè di borghi abitati fortificati, quelli di Falconara e Castelferretti, e alle rocche di Barcaglione e Rocca Priora. Il toponimo Falconara è frequente nelle Marche (e si associa ad altri connessi, come Palombina, che è anche una località vicina) e rinvia con ogni probabilità alla pratica della caccia con il falcone. Un documento del 1252, il Privilegio Magno rilasciato da papa Innocenzo IV ai monaci del convento di San Giovanni “in peneclaria”, ad Ancona, nomina un fundus falconarae che potrebbe essere l’area di cui si sta trattando. Pagamenti di una chiesa S. Mariae Falconarii, forse l’attuale S. Maria delle Grazie, sono documentati nei rendiconti delle “Decime” (Rationes decimarum) del 1290-92. Intorno al Mille dunque si può supporre che fosse stato edificato il castello, forse sul nucleo di un castrum romano, sotto il potere di un feudatario che la tradizione identifica con i conti Cortesi. Sull’origine di questa famiglia vi sono diverse ipotesi. Secondo una tradizione risalente a una storia scritta da Pietro Graziani nel Quattrocento, parente dei Cortesi, questi sarebbero stati condottieri tedeschi che, giunti nel VI secolo con Belisario, entrarono in possesso dei dintorni di Ancona. Lo storico Canaletti Gaudenti ritiene che possano essere stati tra quei Goti superstiti alla disfatta del 552 che rimasero al servizio dei Bizantini risultati vincitori, ricevendo il dominio di castelli quali Falconara, Varano e successivamente di Sirolo. Lo storico anconetano Mario Natalucci ha invece ritenuto che i Cortesi possano essere stati una nobiltà rurale, originata cioè dalle curtes, nata dal progressivo dissolvimento dei beni dell’Arcivescovo di Ravenna, che arrivavano fino alla Vallata dell’Esino. Questo fino a quando, nel 1225, sotto papa Onorio II, come ricorda la tradizione riferita dal Graziani, i conti Cortesi si posero con i loro castelli (Falconara, Varano e Sirolo) sotto la protezione del Comune di Ancona venendo aggregati alla nobiltà cittadina, cosa documentata anche dalla storiografia locale. Nel 1356 infatti, al tempo della Descriptio Marchiae Anconitanae del cardinale Egidio di Albornoz, che restaurò il potere pontificio nella regione, Falconara, Barcaglione e Fiumesino compaiono tra i castra di Ancona.

Castello dei Ferretti, particolare dell’Albero genealogico della Famiglia, Ancona, Museo della Città.
Castelferretti
La costruzione del castello, intorno al quale si è poi sviluppato il primo nucleo urbano, risale al 1397 ed è legata alla famiglia Ferretti che, a partire dalla originaria Ferrette, da cui presero il nome, si era impossessata dell’intera zona sin dal Duecento. Nel 1384 Francesco Ferretti, discendente di uomini d’arme originari della Alsazia, chiede al vicario generale della Marca Anconitana, Andrea Bontempi, di trasformare una torre di guardia già esistente nella “piana dei ronchi” tra Falconara e Chiaravalle – cioè un’area roncata, disboscata per essere assoggettata a produzione agricola – in un luogo fortificato capace di contenere armati e vettovaglie. La torre aveva avuto fino a quel momento la funzione di sorvegliare per lo più i confini segnati dal fiume Esino, soggetto a frequenti inondazioni, motivo di attriti continui tra Jesini e Anconitani. L’edificazione di un castello è divenuta infatti necessaria probabilmente per difendere i territori e i contadini dalle scorrerie delle armate angioine che proprio in quegli anni dilagano nella lotta tra Urbano VI e l’antipapa avignonese Clemente VII. In questo periodo vengono infatti ristrutturate anche le altre rocche del circondario, quelle di Bolignano, del Cassero e di Fiumesino. Al completamento della costruzione, nel 1397, Francesco Ferretti venne nominato da Bonifacio IX conte di Castelfrancesco, la contea che si estende dal fiume Esino sino ai confini con Ancona in una pianura fertile in parte recuperata dal letto del fiume, di cui era stato deviato il corso parzialmente. Tale riconoscimento del feudo ai Ferretti, famiglia appartenente alla nobiltà di Ancona, incrinò ulteriormente le relazioni tra Anconetani e Jesini, fra i quali la disputa territoriale per il possesso delle terre al di qua e al di là dell’Esino si chiuderà solo nei primi decenni del XVI secolo. Il fortilizio è di forma quadrata, circondato da un fosso, e consta di quattro torri legate da un “corridore” merlato; l’accesso è tramite ponte levatoio che dà sul cortile, dove furono costruiti una chiesa, un forno e dei magazzini usati per ricoverare i raccolti. L’area, “paludosa e selvata”, era infatti stata messa a coltura da maestranze immigrate dall’Albania durante l’esodo frequente dovuto alla pressione turca sull’area balcanica. A maestranze albanesi viene affidato anche il restauro, voluto nel 1584 da Vincenzo Ferretti, della chiesa di Santa Maria della Misericordia, fuori del paese, i cui affreschi rappresentano un’importante testimonianza delle decimazioni e della grande paura che si ebbero durante la peste trecentesca. La Madonna protegge infatti sotto il suo mantello le popolazioni locali dal contagio. La fertilità dei terreni consente un notevole incremento demografico di Castelfrancesco nel XVI e XVII secolo, quando si contano solo cinquecento abitanti distribuiti su un territorio di circa milletrecento ettari. In questo periodo vengono intrapresi dal capitano Francesco Ferretti l’ampliamento della rocca, la costruzione di un “casino” nel borgo, con logge e giardino, l’edificazione della chiesa di S. Stefano e il completamento della villa di Monte Domini utilizzata come residenza estiva. I Ferretti riescono a conservare il controllo feudale sul castello contro i tentativi di Ancona di considerarlo parte del proprio territorio che si succedono fino al 1760, quando la disputa viene risolta a favore della famiglia. Pochi anni dopo, però, nel 1797-99, con l’invasione francese, l’obbligo di provvedere alle spese di occupazione costringe i Ferretti a ipotecare il castello finché, nel 1817, con la Restaurazione, essi perdono ogni diritto feudale sul paese, dopo cinque secoli di dominio.
La Rocca Priora
Era nota nel Medioevo come la Rocca di Fiumesino. Forse originariamente di proprietà jesina, sarebbe stata acquistata dagli Anconetani nel XIII secolo; nella Descriptio Marchiae del 1356 risulta infatti fra i castelli di Ancona. Fu occupata nel 1382 da Luigi d’Angiò, è poi restaurata dagli Anconetani. Qui viene stipulato nel 1446 l’armistizio tra Ancona e il cardinale Scarampi e nel 1516 è assegnata in via definitiva da Leone X al Comune di Ancona, che si attivò per bonificare e mettere a coltura le terre circostanti, le cui rendite furono destinate nel 1547 a beneficio del locale Monte di Pietà. Nel XVIII secolo, per favorire una ripresa dalla crisi economica, la rocca è messa all’asta per essere concessa in enfiteusi e assegnata a Francesco Trionfi (1706-1772), un facoltoso mercante di Ancona che investì importanti somme per sviluppare la rendita agricola, modificando l’assetto militare originario in quello di una residenza signorile. Nel 1757 Francesco Trionfi riceve da Benedetto XIV il titolo di marchese di Rocca Priora. Nel 1826 Bonizio Trionfi, che l’aveva riscattata negli anni del Regno d’Italia, è costretto, a causa dell’impossibilità di pagare i canoni arretrati richiesti dal governo pontificio, a cedere l’intera proprietà per 56.000 scudi alla Camera Apostolica, che la adibisce a lazzaretto. Qui trascorre la notte, il 29 aprile 1815, Gioacchino Murat, prima della sconfitta nella battaglia di Tolentino, che pose fine alle sue ambizioni di unificare e controllare la penisola italiana. Nel 1828 la Rocca è nuovamente concessa in enfiteusi al nobile Gabriele Brancadori di Roma e successivamente passa di proprietà dei Boncompagni-Ludovisi e, attraverso diversi passaggi, è entrata nel 1947 nella disponibilità della famiglia Baldoni. L’edificio, in buone condizioni, è costituito dal mastio che sorgeva su lato posteriore, corredato di due torri; al centro un quarto torrione difena il ponte levatoio. Quando fu trasformato in residenza signorile dai Trionfi nella seconda metà del Settecento, venne inserito tra le torri un edificio di quattro piani e furono ricavate quattro sale sovrapposte nel mastio grazie all’innalzamento della torre di nord-ovest alla stessa altezza del mastio. La parte anteriore fu decorata con un portale che ricorda lo stile del lazzaretto vanvitelliano di Ancona, probabilmente progettato da suoi allievi locali, e fu poi restaurato dall’architetto Francesco Maria Ciaraffoni. Sulla costa interna sorge la cappella della Natività di Maria Vergine, con all’interno le sculture di due membri della famiglia Trionfi, il beato Agostino e San Bonizio. La tela sull’altare della Madonna con bambino è di Gian Antonio Lazzarini, architetto e pittore pesarese.
Il comune di Falconara
La comunità falconarese, come castello, era parte del territorio di Ancona, ma non mancavano contese continue circa gli obblighi e le gabelle che le erano imposte, come quelle relative al mantenimento del tratto della via Flaminia. Dal 1540 avviene una specie di restaurazione del dominio anconetano che rivitalizza gli antichi obblighi feudali. Nel frattempo però, dal 1534, la città di Ancona ha perso la sua autonomia e vi risiede un governatore prelato che concentra alcuni dei poteri originariamente comunali. Nel 1794, poiché ha avuto nel periodo precedente un significativo sviluppo demografico ed economico, Falconara decide di edificare una nuova sede degli uffici del Comune e affida l’incarico a Pietro Zara, architetto. La nuova sede funge anche da abitazione per il podestà e vi vengono inoltre allocati una sala per il Consiglio, un magazzino per l’Annona e un carcere. La facciata dell’edificio viene corredata di un orologio nell’Ottocento. Durante l’occupazione francese è eletto a capo del governo provvisorio repubblicano il facoltoso Francesco Montino del Monte, che contribuisce personalmente al completamento dell’edificio. Si è ormai consolidata in questo periodo l’ambizione alla legittima autonomia di Ancona, che viene sancita negli anni del Regno d’Italia napoleonico, quando le province di Urbino, Ancona, Macerata e Camerino vengono aggregate al regno adottando l’organizzazione amministrativa di dipartimenti. Il 28 giugno 1808 l’autonomia della città viene sancita da un decreto del vicerè Eugenio che nomina i primi amministratori. La restaurazione non torna indietro sulla decisione e allarga anzi, nel 1815, il territorio falconarese all’abitato di Castelferretti, dove i Ferretti hanno ormai perso il loro dominio feudale. Col plebiscito del 4-5 novembre 1860 Falconara aveva aderito al Regno di Sardegna e il 20 marzo 1861 il Consiglio comunale plaude all’Italia unita, a tre giorni dalla proclamazione del Parlamento di Torino. Sono anni di grande espansione urbana, con l’incremento della frazione marina che registra la presenza di industrie agricolo-alimentari e di agenzie di commercio legate alla creazione dello scalo ferroviario che collega Ancona e Bologna, inaugurato il 17 novembre 1861. Si afferma anche un tipo di economia balneare e turistica, soprattutto nel primo Novecento, che favorisce l’incremento della popolazione e lo sviluppo della residenza lungo l’area costiera. Qui gli abitanti salgono da 1.319 nel 1901 a 2.234 nel 1922 (su complessivi 6.443). La composizione sociale e politica delle Amministrazioni è di orientamento riformista; il repubblicano Orlando Mondaini riesce a rimanere sindaco dal 1906 al 1920 pressoché ininterrottamente. Lo spostamento della popolazione nell’area costiera rende necessaria una residenza comunale collocata più in basso, che viene costruita nel 1925 su progetto dell’Ingegnere Giovanni Bianchi. In quegli anni si diffonde anche la caratteristica architettura liberty delle numerose ville e residenze dell’area costiera. Il fascismo, il 15 aprile 1928, con il decreto 882, decide una riforma delle autonomie locali che favorisca l’accorpamento dei Comuni. Il territorio di Falconara viene così smembrato a vantaggio di Montemarciano, Chiaravalle e Ancona, creando un generale malcontento che sarà sanato solo il 28 aprile 1948, quando viene ricostituito il Comune grazie a una deliberazione del Consiglio dei Ministri, provvedimento che era stato caldeggiato già due anni prima da un comitato cittadino creatosi nel 1945 e costituito da numerosi antifascisti. In previsione delle elezioni del 1948 i Falconaresi arrivano a minacciare l’astensione dal voto per protestare contro la soppressione dell’autonomia decisa nel 1928. Il presidente del comitato Lucio Moroder è tra i più attivi sostenitori del progetto. Negli anni Sessanta la popolazione aumenta (da milletrecento degli anni Cinquanta arriva a ventiquattromila e poi a trentamila negli anni Ottanta) come succede in numerosi centri delle Marche a scapito delle località dell’entroterra, a causa dello sviluppo di attività economiche che sostituiscono il vecchio modello agricolo degli anni Settanta. 
Testi Storia della città, Itinerario storico artistico, Musei, Giorgio Mangani, Barbara Pasquinelli © Copyright 2011 by Sistema Museale della Provincia di Ancona